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Al Sud fatture ferme da due anni

di Marco Alfieri

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«Di media tra i 6 mesi e l'anno. Ma abbiamo pendenze anche di un anno e mezzo, due». Filippo Ribisi ha una piccola azienda di 11 dipendenti (un milione di fatturato annuo) che installa impianti elettrici e di climatizzazione nel palermitano. Uno dei tanti artigiani e piccoli imprenditori incontrati dal «Sole 24 ore» nel corso dell'inchiesta sui ritardi di pagamento. Ribisi lavora spesso con le pubbliche amministrazioni siciliane e le controllate del Comune di Palermo come l'Amia, l'azienda rifiuti.
Da contratto dovrebbero pagare tutti a 90 giorni. «Invece si fa il lavoro e si attende il pagamento come fosse una lotteria. Ad esempio con Amia abbiamo fatture inevase (25mila euro) ancora per un'istallazione di condizionatori fatta nell'estate 2007. Sollecitiamo da mesi, ma nessuno ci risponde». Più in generale, l'azienda di Ribisi lamenta quasi 60mila euro di mancati incassi da enti pubblici. «Non hanno i soldi, dicono». Senza contare l'ulteriore paradosso che avvelena la catena dei pagamenti tra privati, causa inadempienza indotta della pubblica amministrazione (Pa). A spiegarlo è sempre Ribisi: «Abbiamo fatto molti lavori per aziende che hanno investito parecchie risorse sulla scorta della Legge 488», precisa. «Peccato che lo Stato nel frattempo non stia onorando i finanziamenti previsti, costringendo le imprese a rimandare a catena il pagamento dei fornitori». La 488 dovrebbe essere un volano dell'economia, in alcune regioni è un ulteriore cappio che strangola le imprese. Le ricadute sull'occupazione sono immediate. «Perchè potrei assumere addetti, il volume della mia attività me lo permetterebbe», chiosa Ribisi. «Ma non mi azzardo perché l'incertezza sui pagamenti è una sciagura».
Ricapitolando. C'è il ritardo negli incassi tra privati, il baco che contagia l'economia reale dopo lo sboom di Borsa e la crisi di liquidità. Ma in queste settimane c'è anche il rimbalzo di una malagestione più antica e ostinata, come testimonia la storia metafora dell'artigiano di Palermo: il cortocircuito negli incassi tra privati e Pa, con extracosti sulle imprese che Confartigianato calcola in 1,7 miliardi l'anno. Una montagna di soldi che va ad aggiungersi ai circa 30 miliardi di crediti totali che le aziende fornitrici vantano nei confronti del pubblico, su un valore totale di 121,5 miliardi di servizi resi. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, l'altro giorno ha chiesto a Governo e banche di intervenire, attraverso apposite linee di credito a tassi agevolati a sconto dei crediti delle aziende. Il ministro Brunetta starebbe studiando possibili forme di flessibilità. Si vedrà.
Nel frattempo l'Italia è sempre più maglia nera nella Ue: 135 giorni contro la media Ue di 65 per pagare beni e servizi forniti da un privato alla Pa (nel 1995 erano 87 contro una media Ue di 53). Naturalmente il problema è diffuso: il 75% delle imprese europee si trova a fare i conti con le dilazioni delle rispettive Pa, che portano al fallimento di un'azienda su quattro e a bruciare 450mila posti di lavoro l'anno. Ma l'Italia, come spesso accade, è fanalino di coda.
Una condizione insostenibile, secondo l'Osservatorio Imprese Pubblica Amministrazione (Oipa), che in primavera si è rivolto alla Commissione europea per un intervento sovranazionale capace di trovare soluzioni per sanare la piaga dei debiti pregressi. Ma non sarà facile soddisfare imprenditori schiacciati dai maggiori oneri finanziari, costi amministrativi per disincagliare i crediti in sofferenza e oneri legali per ottenere la riscossione del credito per via giudiziaria.
Ovviamente il Paese è a macchia di leopardo. Le imprese più penalizzate sono giocoforza quelle del Centro-Sud. Secondo dati Oipa, «la Regione Lazio arriva a pagare le proprie imprese fornitrici di beni e servizi addirittura a 400-450 giorni, con punte di 700. In Campania, il ritardo medio è stimato in 420 giorni». I settori più colpiti sono sicurezza, infrastrutture ed edilizia (in stagnazione per via del fermo degli appalti), dove ormai si paga a 24 mesi, e sanità (a 18 mesi), il vero buco nero cronico. Non bastasse, la legislazione vigente iper-tutela il debitore pubblico, ed è un ulteriore incentivo a non pagare in tempo. Ciascun pagamento che superi i 10mila euro, infatti, permette alla Pa di verificare, attraverso Equitalia, l'esistenza a carico del creditore di debiti verso Erario e Inps. Se sì, tutto si blocca rinviando il pagamento sine die.
In questo modo «nel Mezzogiorno ci sono sempre più imprese costrette a chiudere e licenziare, o spinte verso circuiti torbidi di finanziamento», spiega allarmato il presidente di Oipa, Antonio Persici. Inoltre, «molti imprenditori sono omertosi perché temono ritorsioni e di perdere futuri appalti con la Pa».
«Il costante ritardo nei pagamenti è la principale causa di asfissia per le imprese che si interfacciano con il pubblico», rincara Elio Scognamiglio, Presidente di Acfapo, l'Associazione Campania Fornitori Apparecchiature e Presidi Ospedalieri. «Le aziende non possono continuare a finanziare di fatto lo Stato, che a sua volta incassa le imposte sui redditi d'impresa per competenza e non per cassa, senza tra l'altro pagare i suoi fornitori». Secondo il formulario spedito da Oipa a sostegno della petizione all'Ue, infatti, oltre il 75% delle fatture emesse da aziende associate Acfapo nei confronti della Pa violano i tempi di pagamento. Costringendo pmi e artigiani a indebitarsi con le banche, che a loro volta sollecitano il rientro, alimentando una spirale perversa.

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